PRESENZA E’ CELEBRARE L’ISTANTE ED OSSERVARE IL CAMBIAMENTO

(Pubblicato in Percorsi Yoga, quaderni di yoga-YANI, Luglio 2024)

At the still point of the turning world. Neither flesh nor fleshless; Neither from nor towards; at the still point, there the dance is, But neither arrest nor movement. And do not call it fixity, Where past and future are gathered. Neither movement from nor towards, Neither ascent nor decline. Except for the point, the still point, There would be no dance, and there is only the dance. I can only say, there we have been: but I cannot say where. And I cannot say, how long, for that is to place it in time.

Da T.S.Eliot, Four Quartets, n.1 (1)

Quarant’ anni fa ho incontrato lo yoga e non ho più smesso di praticarlo. Da allora sono cadute parecchie delle mie certezze e sono sorti molti dubbi, ma di una cosa sono sicura: l’assoluta importanza della pratica quotidiana. Da molti anni conduco, principalmente, workshop e seminari di approfondimento per insegnati yoga e praticanti esperti, in Italia e all’estero. Ma ho anche uno studio privato a Firenze dove, oltre alle lezioni individuali, tengo tre corsi annuali a cadenza settimanale. Divido i corsi in principianti assoluti studenti che praticano da più di un anno e studenti esperti, quelli che mi seguono da molti anni. Presso il mio studio organizzo anche un seminario intensivo a cadenza mensile o bimestrale per gli studenti esperti e gli insegnanti yoga su argomenti che ritengo sia necessario approfondire.

Un percorso graduale per i principianti

Ogni anno inizio un nuovo gruppo di principianti; con loro ho la necessità di procedere per gradi, con semplicità, ed anche se in genere per i corsi non faccio programmi dettagliati con i principianti seguo un percorso graduale. Propongo pratiche semplici che possano permettere agli allievi prendere confidenza con i principi fondamentali dello yoga e di iniziare a sviluppare la loro pratica individuale quotidiana, che è importantissima. La percezione della forza di gravità e del respiro ha un assoluto bisogno di pratica, è difficile da conquistare e si perde facilmente. Durante i primi due o tre mesi di un corso principianti dedico molta attenzione alla cura delle posizioni in piedi ed insisto molto proprio sul piede e sull’allineamento alla gravità in tadāsana, che se praticata correttamente permette di approcciare tutti gli altri āsana con facilità. Dopo aver dedicato molto tempo alle posizioni in piedi introduco posizioni a terra, posizioni sedute, piccoli piegamenti nelle posizioni in avanti e indietro, e le torsioni più semplici combinate in sequenze sempre più armonizzate.  Un buon risultato per il primo anno è che gli allievi scoprano che non tutti i giorni sono uguali e che possono accettarsi senza giudizio e iniziare la pratica da dove si trovano. La perseveranza nello yoga è una qualità fondamentale: sono molto felice quando i miei allievi, a volte già dal primo anno, riescono a mantenere una loro pratica quotidiana, anche breve ma costante, presupposto indispensabile per un vero progresso nello yoga. Per questo propongo pratiche semplici ed accessibili, adattabili alle esigenze di ognuno, sia per le posizioni che per la respirazione. Nel farle proprie gli allievi sentono un progressivo miglioramento della postura e della respirazione ma anche il beneficio immediato della “presenza” che ritengo essenziale.

Sarò molto felice se i miei allievi alla fine del primo anno si sentiranno  ben radicati a terra e saranno in grado di percepire che il movimento origina dalla spina dorsale.


Le lezioni nascono dall’osservazione del gruppo

Eccetto il corso per i principianti, in tutti gli altri corsi il percorso che propongo si delinea a posteriori. Mi regolo così: quando la lezione è finita, sapendo esattamente cosa ho fatto in classe, prendo alcune note che saranno importanti per impostare le lezioni successive. Vedo, a posteriori, il percorso svolgersi nelle mie note in maniera più dettagliata rispetto a quello che poteva essere un programma di massima pensato in precedenza.  Le mie lezioni sono da sempre molto spontanee, nascono dall’osservazione, devo vedere di che cosa ha bisogno il gruppo in quel momento. Certamente, sono molti gli strumenti che ho a disposizione: sono tutti quelli che hanno contribuito alla mia pratica in  quarant’anni.

Lo yoga che insegno non cerca la performance, in classe non esistono competizione e confronto e sono anche molto attenta a non fare “correzioni”, ma cerco di suggerirle in maniera generica a tutto il gruppo anche quando sono per un solo allievo. Pratico insieme al gruppo perché le mie parole descrivono le mie percezioni ma, se necessario, mi muovo nello studio per aiutare chi ha bisogno di supporti o modifiche alla posizione.

Il respiro è parte centrale dell’insegnamento sin dal primo giorno.  Dall’inizio invito alla ricerca di una respirazione naturale libera da tensioni, una ricerca che durerà tutta la vita! I miei allievi dicono che non faccio mai una lezione uguale all’altra, infatti, desidero che la loro pratica individuale sia molto soggettiva e nasca dalla percezione chiara di quello che sentono e non da una ripetizione meccanica. So che lo yoga si estenderà piano piano fuori dal tappetino e che inizieranno ad osservare dei cambiamenti nella loro vita, ad ascoltare e a rispettare, in ogni momento, il loro corpo.

Nei corsi seguo i principi fondamentali trasmessi da Vanda Scaravelli, basati sulla gravità, il respiro e l’andamento ondulato e flessibile della colonna vertebrale, che ha un suo proprio ritmo.

Quando insegno lascio che le parole nascano dalla percezione chiara di quello che sento nel corpo in quel momento e da quello che percepisco osservando il gruppo, nel silenzio della pratica è’ come se diventassimo una cosa sola. Sono convinta che il corpo ha la sua intelligenza e la prima cosa che insegno è che quando la nostra mente impara a riposare sul respiro ed a seguirlo possiamo esplorare molti spazi interni. Insegno ad affidarsi senza paura alla gravità e lad accogliere la risposta di allungamento ed espansione in tutte le direzioni che nasce spontaneamente e ci mette in contatto con la colonna vertebrale, in questo modo anche il respiro si armonizza naturalmente. Guido la pratica in modo da far emergere la posizione dall’interno verso l’esterno.  Ognuno, secondo le sue possibilità, senza sforzo, trova la sua misura, perché non c’è un modello da raggiungere né una forma da imporre al corpo dall’esterno. Sembra difficile ma non lo è. Già dalle prime lezioni invito ad abbandonare le aspettative e rimanere in ascolto della gravità, lasciando che il movimento emerga, spontaneamente, in armonia con il respiro. Ascoltando il corpo ed esplorando i tempi e gli spazi del respiro, gli allievi imparano ad osservare il cambiamento.


Uno spazio vuoto

Nel mio studio le pareti sono pulite, non ci sono immagini o fotografie ma solo lo stretto necessario per praticare, mi piace che sia semplicemente uno spazio “vuoto” così che quando varchiamo la soglia ci sia il “vuoto” necessario all’apprendimento ed alla scoperta. Ci sono io e ci sono gli allievi, non ci sono programmi e dal momento in cui la lezione inizia anch’io sto nell’ascolto e sono parte del gruppo. E’ una gioia insegnare e la prima a divertirsi e ad essere curiosa di quello che accade sono io; il mio insegnamento arriva dall’esperienza e da un forte legame con il momento presente.


Ognuno è diverso e cambia da momento a momento

Il Sutra III.6 degli Yogasutra di Patanjali dice: Tasya bhūmisu viniyogah, indicando che nello yoga è necessario procedere per gradi. Questo sutra era molto amato da Krishnamacharya e da suo figlio T.K.V. Desikachar che, insieme a B.K.S. Iyengar, è stato uno degli insegnati di Vanda Scaravelli. Desikachar prese da questo sutra il nome del suo particolare insegnamento che chiamò Viniyoga, a significare che lo yoga deve essere adattato all’individuo e non l’individuo allo yoga. Come riporta il maestro Bernard Bouanchaud in The essence of Yoga, per Desikachar ”Lo spirito del Viniyoga è quello di partire da dove ci troviamo. Dato che ognuno è diverso e cambia da momento a momento, non ci possono essere punti di partenza generici, e le risposte già confezionate sono inutili. La situazione presente deve essere esaminata e il livello abitualmente stabilito deve essere riesaminato.” (2)

Questo concetto vale nell’’insegnamento così come nella pratica personale.  Che io tenga classi di gruppo settimanali o lezioni individuali non do mai niente per scontato. Riconosco che nella pratica ci sono degli stadi di evoluzione, quando la osservo nel trascorrere del tempo ho la percezione che ci sia uno sviluppo graduale. Però, nella mia esperienza, questo sviluppo non è mai un processo lineare, si va avanti ma si torna anche indietro; a volte il percorso somiglia più ad una spirale, si apprende di nuovo, si mette in dubbio, si fanno nuove scoperte.

Quando entro in classe desidero che la mia presenza sia assoluta; per presenza intendo essere contemporaneamente nel cambiamento, vederne gli sviluppi, gioire dei benefici e dei progressi della pratica, ma anche essere principianti, osservarsi come se fosse la prima volta, accogliere il momento presente, sapendo che la percezione che sorge istante dopo istante si dissolve per far posto ad altro, tornare a sentire il “nuovo”, rinnovare l’attenzione e l’ascolto. In classe invito gli allievi a mantenere il silenzio, ed anch’io nell’insegnamento non parlo continuamente. Questo consente agli allievi di entrare in un silenzio più profondo che, come un dono, a volte si trasforma in meditazione. Preferisco che  domande e osservazioni vengano fatte al termine della lezione. Qualsiasi tema io possa aver deciso di approfondire durante un corso viene da me costantemente modulato dall’ascolto e dall’osservazione attenta di quello che accade in classe, dalla reazione degli allievi alle pratiche proposte, ma anche da una percezione chiara di quello che sta succedendo dentro me. Allora può accadere che si attivi una parte molto intuitiva che indica strade inaspettate. Capita così che durante una lezione trovi un nuovo modo di spiegare un asana per venire incontro alle esigenze di uno degli allievi. Quando sono nel flusso diventa tutto molto più interessante.


Il cuore del mio insegnamento

Per me è sempre stato importante lo studio, attraverso cui ho acquisito tante informazioni utili, ho imparato pratiche e sequenze, indicazioni e controindicazioni. Ho seguito corsi sui testi tradizionali dello yoga dove il processo di apprendimento era simile a quello di un corso scolastico. Tutto questo è stato e continua ad essere di grande interesse, e lo porto nei miei corsi. Ma il cuore del mio insegnamento non viene da lì, non sta lì, viene da quello che ho imparato da Vanda, dalla relazione con lei e dalla mia esperienza. Vivo lo yoga come una pratica per la vita, è la vita stessa, dove non ci sono mete raggiunte per sempre: “Senza ambizione e per un tempo infinito”, usava dire Vanda.

Seguo alcuni miei allievi da 20/30 anni e devo dire che nel tempo quello che conta è la verità del momento. E’ importante essere sempre principianti, altrimenti non è possibile fare nuove scoperte. A volte è necessario perdersi, lasciare una pratica che non ci corrisponde più e poi ritrovare la bellezza di una pratica autentica. Il corpo ci ringrazia e sappiamo di aver ritrovato la via. Nelle classi di gruppo cerco di rispettare ogni persona nella sua unicità e nella proposta di pratiche guidate parto spesso dalla pratica più indicata per la persona che nel gruppo ha più difficoltà, non lascio mai nessuno indietro. La relazione  è la cosa più importante durante un corso, desidero che tutti gli allievi sentano che io rispetto l’unicità di ognuno di loro.

E’ bello insegnare quello che sto praticando. E’ una gioia trasmettere qualcosa di vivo, cerco di essere autentica, di rispettare la mia verità. Non insegno quello che non fa più parte della mia pratica quotidiana ma, qualsiasi pratica stia insegnando, rimango comunque sempre coerente con i principi fondamentali che la guidano.

La mia maestra Vanda Scaravelli, pur avendo insegnato per anni a persone che poi hanno diffuso il suo insegnamento in tutto il mondo, non ha mai fondato una scuola di formazione, convinta che, come lei stessa dice in Tra terra e Cielo, “L’organizzazione uccide la pratica. Dobbiamo esserne consapevoli. L’amore è ovunque, in ogni cosa, è tutto. Ma se lo confiniamo in una scatola, in un luogo preciso, scompare.”  (3)  Vanda sosteneva che lo yoga non poteva sottostare al desiderio di successo, non poteva accettare compromessi per ragioni di denaro. “La verità, come l’amore, non può essere dimostrata o spiegata, oppure offerta. E’ qui intorno a noi in tutta la sua immensità. Dobbiamo solo essere coscienti ed osservare con attenzione” (4) Per tutti gli anni che ho frequentato le sue lezioni individuali non abbiamo mai fatto programmi. Io entravo nella sua stanza e mi affidavo totalmente al suo insegnamento. Non ho mai percepito che Vanda avesse un programma prestabilito per le lezioni, era invece assolutamente presente con una attenzione profonda a cui non sfuggiva niente.

Lo yoga è allo stesso tempo una scienza ed un’arte, è arrivato a me attraverso una trasmissione ininterrotta. Sono innumerevoli le pratiche che una tradizione millenaria ha codificato, ma per fortuna, allo stesso tempo, lo yoga è anche un mistero oltre la nostra possibilità di pianificare e programmare, contenere ed afferrare, come diceva Vanda, non si può metterlo in una scatola. Sono convinta che in realtà non ci sono strade, scale, gradi. Lo yoga è lì nel momento presente, esattamente dove siamo e ci incontriamo, insegnanti e allievi, perché dobbiamo mantenere vivo, nella relazione tra persone viventi il flusso della trasmissione. Una relazione che è fondata sulla fiducia dell’allievo nell’insegnante, e dell’insegnante nella potenza dello yoga di cui ha fatto esperienza. Da qui nasce la forza che sosterrà l’allievo nella pratica individuale. Sembra che ci sia una contraddizione tra la ricerca di una pratica che porti ad uno sviluppo graduale e una dimensione che non dipende dal tempo. Ma in definitiva è proprio in questa contraddizione che si apre un varco, che si può aprire una porta.

(1) Al punto fermo del mondo che ruota. Né corporeo né incorporeo; Né muove da né verso; al punto fermo, là è la danza, Ma né arresto né movimento. E non la chiamatela fissità, Quella dove sono riuniti il passato e il futuro. Né moto da né verso, Né ascesa ne declino. Tranne che per il punto, il punto fermo, Non ci sarebbe danza, e c’é solo la danza. Posso soltanto dire: là siamo stati, ma non so dire dove. E non so dire per quanto tempo, perché questo è collocarlo nel tempo.  Da T.S: Eliott, Quattro quartetti, Garzanti Editore, Milano, 1992, pag. 9

(2) Bernard Bouanchaud, The essence of yoga, Rudra Press, Portland, 1997, pag. 154 (traduzione dell’autore)

(3) Vanda Scaravelli, Tra terra e cielo, Ed. Mediterranee, Roma, 2015, pag. 82

(4) Ibidem